In una lettera, Papa Francesco evidenzia il “valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale”. Per Bergoglio romanzi e poesie rappresentano una “palestra di discernimento”. Per il Pontefice “ognuno troverà quei libri che parleranno alla propria vita e che diventeranno dei veri compagni di viaggio. Non c’è niente di più controproducente che leggere qualcosa per obbligo, facendo uno sforzo considerevole solo perché altri hanno detto che è essenziale”.
“Spesso – scrive il Pontefice – nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene. Poi non mancano i momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a passare la tempesta, finché possiamo avere un po’ più di serenità. E forse quella lettura ci apre nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile. Prima della onnipresenza dei media, dei social, dei cellulari e di altri dispositivi, questa era un’esperienza frequente, e quanti l’hanno sperimentata sanno bene di cosa sto parlando. Non si tratta di qualcosa di superato”.
Nella lettera indirizzata ai candidati al sacerdozio, agli operatori pastorali e a tutti i cristiani, Papa Francesco evidenzia il “valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale”. Per Bergoglio romanzi e poesie rappresentano infatti una “palestra di discernimento”, e agevolano il pastore “a entrare in un fecondo dialogo con la cultura del suo tempo”.
Il Papa ricorda cosa ha imparato da giovane con i suoi studenti: “Tra il 1964 e il 1965, a 28 anni, sono stato professore di Letteratura a Santa Fe presso una scuola di gesuiti. Insegnavo agli ultimi due anni del Liceo e dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cida casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente loro volevano leggere le opere letterarie contemporanee. Ma, leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e poi passavano ad altri autori. Alla fine, il cuore cerca di più, ed ognuno trova la sua strada nella letteratura. Io, ad esempio, amo gli artisti tragici, perché tutti potremmo sentire le loro opere come nostre, come espressione dei nostri propri drammi. Piangendo per la sorte dei personaggi, piangiamo in fondo per noi stessi ed i nostri vuoti, le nostre mancanze, la nostra solitudine. Naturalmente, non vi sto chiedendo di fare le stesse letture che ho fatto io. Ognuno troverà quei libri che parleranno alla propria vita e che diventeranno dei veri compagni di viaggio. Non c’è niente di più controproducente che leggere qualcosa per obbligo, facendo uno sforzo considerevole solo perché altri hanno detto che è essenziale. No, dobbiamo selezionare le nostre letture con apertura, sorpresa, flessibilità, lasciandoci consigliare, ma anche con sincerità, cercando di trovare ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento della nostra vita”.
Francesco cita il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges che diceva ai suoi studenti: “la cosa più importante è leggere, entrare in contatto diretto con la letteratura, immergersi nel testo vivo che ci sta davanti, più che fissarsi sulle idee e i commenti critici“.
Aggiunge Bergoglio: “Borges spiegava questa idea ai suoi studenti dicendo loro che forse all’inizio avrebbero capito poco di ciò che stavano leggendo, ma che in ogni caso essi avrebbero ascoltato “la voce di qualcuno”. Ecco una definizione di letteratura che mi piace molto: ascoltare la voce di qualcuno. E non si dimentichi quanto sia pericoloso smettere di ascoltare la voce dell’altro che ci interpella! Si cade subito nell’autoisolamento, si accede ad una sorta di sordità ‘spirituale’, la quale incide negativamente pure sul rapporto con noi stessi e sul rapporto con Dio, a prescindere da quanta teologia o psicologia abbiamo potuto studiare”.